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perchè non poterono trovar lavoro, altri perchè non si volle dar loro il prezzo che ad essi pareva ragionevole. Parlai con uno di costoro, che mi narrò i suoi fastidi, e potei dargli ben poca consolazione; gli dissi solo: «Vi compiango; ricevete certamente una mercede assai meschina, eppure non mi meraviglio che fabbriche dirette così bene come le vostre, non siano in caso di pagarvi meglio, ma piuttosto mi meraviglia che esse possano darvi anche quel poco che vi danno».

Tornai indietro, e, alle tre, mi trovai nella via principale; osservai con stupore le banche, gli uffici di cambio e tutti gli istituti di credito, dei quali non v’era traccia nel mio sogno. Affaristi, uomini di fiducia e fattorini, entravano ed uscivano dalle banche, le quali non dovevano rimanere aperte che ancora pochi minuti.

Mi stava dirimpetto la banca che era incaricata dei miei affari; attraversai la strada, vi entrai, e mi misi in un canto per osservare tutto quell’esercito d’impiegati che maneggiavano il danaro ed i depositanti che aspettavano ritti innanzi agli sportelli. Un vecchio signore, mio conoscente, mi passò vicino, e vedendomi così attento, si fermò e mi disse: «Spettacolo interessante, nevvero signor West? Un macchinismo meraviglioso; io stesso la penso così; accadde anche a me di fermarmi qui, come voi, e di guardare: è tutto un poema, e si può proprio chiamarlo così. Non avete mai pensato che la banca è il cuore della vita commerciale? Da essa va e viene, in un continuo flusso e riflusso, il sangue vivificatore; oggi vi entra a fiotti, e domani se ne va via». E il mio interlocutore, pieno di gretto orgoglio, si allontanò sorridendo.

Ieri ancora avrei giustificato quel sorriso, ma poichè avevo visitato un mondo incomparabilmente più ricco, in cui il denaro era sconosciuto e considerato quindi inutile, esclamai:

«Ah! povero vecchio banchiere col suo poema! Egli ha confuso il battito di una piaga col palpito del cuore. Ciò che egli chiama un meccanismo amichevole, altro non è che un’istituzione incompleta che cerca di rimediare ad un difetto inutile, una gruccia massiccia, data ad uno che si sia storpiato da sè».