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mi era successa; ed appena essa comprese a che cosa si riferiva la mia domanda, si trovò imbrogliata; i suoi occhi che avevano sempre un’espressione onesta e sincera, s’erano abbassati schivando il mio sguardo, e la vidi arrossire dal collo alla fronte.
«Vi domando perdono,» dissi, riavuto dalla confusione per averla impressionata con le mie parole. «Pare dunque ch’io non abbia sognato, c’è un segreto, qualche cosa di me che mi celate. Infatti, non pare un poco ingiusto che ad uno che si trovi nella mia posizione, non si debba dare ogni possibile schiarimento sopra sè stesso?»
«Non è cosa che riguarda voi, cioè, non direttamente; non è veramente di voi...» aggiunse quasi sottovoce.
«Però mi riguarda in parte,» dissi con persistenza. «Dev’essere qualche cosa che m’interesserebbe.»
«È appunto ciò che ignoro,» soggiunse essa, e volse uno sguardo rapido su di me; si fece assai rossa e con un fine sorriso sulle labbra, il quale, malgrado l’imbarazzo della situazione, tradiva un’inclinazione all’ilarità, disse «Io non sono ben sicura se questo potrebbe interessarvi.»
«Vostro padre me lo avrebbe detto,» insistetti con un tono di rimprovero, «voi glie lo avete proibito, quando egli credeva che io dovessi saperlo».
Essa non rispose, ma era così attraente nella sua confusione, che mi sentivo tentato di tormentarla maggiormente, tanto per curiosità, quanto pel desiderio di prolungare quella scena.
«Non lo saprò dunque mai? Non volete dirmelo?» dissi.
«Dipende» rispose dopo un istante.
«Da che?» domandai con insistenza.
«Ah! voi domandate troppo;» poi rialzò la fronte; i suoi occhi profondi, le guancie tinte dal rossore e le labbra sorridenti la rendevano affascinante; mi guardò e aggiunse: «Che cosa pensereste, se dicessi che dipende da voi?»
«Da me?» ripetei «come è possibile?»
«Signor West, noi perdiamo la magnifica musica,» fu la sua unica risposta; poi si voltò verso il telefono, e al tocco del suo dito risonò un «adagio». Essa procurava che la musica c’impedisse