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408 DEL DISORDINE E DE’ RIMEDII

quelle nazioni che si son rese padrone del danaro di Europa, e che non ci lasciano godere delle ricchezze che il soverchio che, per così dire, ne rigurgita indietro.

A misura che una nazione si allontana da questi principii, diminuisce in essa il danaro; la scarsezza del danaro produce l’aumento degl’interessi de’ capitali, con esso i debiti, poscia i fallimenti e quindi la perdita della pubblica fede, col destino della quale va inseparabile il commercio; sicché uno stato, benché vasto, rimane come il cadavere di un gigante, su cui passeggiano i più vili insetti.

Durante l’accrescimento della massa circolante si aumenta l’industria, che è quel fuoco sacro che i sacerdoti della patria e del ben pubblico debbono sempre mantenere acceso, e che forma la felicità e la vita delle nazioni; sminuita l’industria, languisce il commercio, e sulle sue rovine s’innalza la povertà: non quell’altiera disprezzatrice delle ricchezze che fu il Palladio della libertà di Sparta e di Roma, ma bensì quell’infingarda che produce la miseria e l’avvilimento delle nazioni, che cominciando dall’infima plebe si solleva per gradi sino al trono.

Questo stato di guerra, in cui Obbes ha creduto essere le genti, si verifica nel commercio e nelle monete, dove ogni nazione cerca d’arricchirsi coll’impoverimento altrui 1, e

  1. Le perdite in questo genere sono come le corrosioni di un fiume, che quanto ne perde una riva altrettanto ne guadagna l’opposta; ed un abile politico