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xxxvi | VITA |
delle Pene: ora passeremo a far parola delle non lievi contraddizioni ch’ebbe a soffrire. Uno scritto il quale distruggeva da capo a fondo l’edifizio delle leggi criminali consacrato dall’antichità, la quale ha sempre con se alcuna cosa di venerabile, non potea sfuggire alle censure di coloro che o per abitudine, o per interesse favorivano il vecchio ordine di cose.
Dopo una gloriosa vita di parecchi secoli la repubblica di Venezia sentiva oramai la propria vecchiaia, e ben doveva a suo malgrado accorgersi che la forma interna del governo di lei più non era adattata allo stato in cui trovavasi il resto dell’Europa. La quistione intorno agli Inquisitori di stato agitavasi appunto nel tempo in cui comparve il libro Dei Delitti e delle Pene. Sembrò a molti che l’autore facesse allusione a quella contesa, e che condannasse indirettamente il modo di procedere di quel tribunale nel paragrafo in cui vivamente dipingeva l’ingiustizia e le pessime conseguenze delle accuse segrete. Si sospettò pertanto che quello scritto fosse parto della penna d’alcun suddito veneziano, anzi il sospetto cadde sulla persona del N. H. Angelo Quirini, per lo che il libro venne proibito sotto pena di morte negli stati tutti della repubblica.
Volendo allora far cosa grata ai capi dell’aristocrazia veneziana, il P. Ferdinando Facchinei monaco Vallombrosano, il cui nome passò unicamente alla posterità a motivo dei grandi autori di cui tentò di demolire la fama, scrisse un’aspra censura dell’opera di Beccaria, e la diede in luce col titolo di Note ed Osservazioni