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DEL BECCARIA | xxv |
morale e sulla felicità delle nazioni. La deplorale condizione delle leggi criminali formava per conseguenza una parte principale degli oggetti intorno a cui la dotta compagina del Caffè faceva le sue ricerche. Alcuno de’ suoi membri era già istrutto nella giurisprudenza, ed Alessandro Verri che sosteneva in quel torno l’ufficio di protettore dei carcerati, era specialmente in grado di conoscere quante vittime innocenti non venissero immolate da quella spada che doveva solo bagnarsi nel sangue degli scellerati.
Pareva ai giovani filosofi milanesi che non si dovesse lasciare sfuggire una così bella occasione di rendere un segnalato servigio all’umanità.
Ma a trattare soggetto cotanto importante venne per comune consenso trascelto il marchese Beccaria, siccome quello che, oltre alle profonde cognizioni filosofiche, scriveva con nerbo, ed avea il dono d’una calda eloquenza, la quale allorquando è unita alla verità, muove, vince, debella il lettore. Solevano quei valorosi amici passare insieme conversando molte ore della giornata, ed uscire al passeggio parimenti in compagnia. Nei loro colloquii continuamente parlavasi delle cose che si riferivano alle materie criminali: si proponevano moltiplici quistioni, ed ognuno dicea il suo parere, e sosteneva la sua opinione. Alla sera poi si rinchiudevano nelle stanze del conte Verri, ove ciascheduno si occupava del suo studio favorito. Pietro Verri attendeva a’ suoi lavori economici-politici; il fratello di lui Alessandro componeva il Compendio della Storia d’Italia, ed il Beccaria scriveva quanto pensava intorno ai delitti ed alle