in codesta materia. Alla metà d’agosto del 1762, egli diede pertanto fuori il libretto che ha per titolo: Riflessioni in punto di ragione sopra il libro intitolato dei Disordini e dei rimedi delle monete ec. Onde meglio riuscire nell’intento il cavaliere Verri, preso il tono dell’ironia, mostrava di combattere nel suo opuscolo il marchese Beccaria, e quindi di mano in mano veniva registrando con continui encomii le opinioni più assurde dei dottori intorno alle monete. Amenissimo è questo scritto tanto per la studiata affettazione dello stile, quanto per lo scherzo sostenuto continuamente da un’aria di giuridica severità. Risulta poi da esso in maniera evidente quanto fallaci siano gli oracoli pronunciati dai meri giurisperiti nelle materie economiche e politiche, la ragione delle quali deve cercarsi in tutt’altro ramo dell’umano sapere. Pure, bisogna confessarlo ad onore dei nostri tempi, così poche erano allora in Milano le menti illuminate e colte veracemente, che dai più non venne inteso lo scopo delle Riflessioni in punto di ragione ec.; anzi uno zio dello stesso marchese Cesare Beccaria approvava con buona fede le massime sostenute nelle medesime, e partigiano coiti’ era delle opinioni dei giureconsulti, godeva che in esse fosse stato trionfalmente combattuto il nipote. Forse tratto in errore da discorsi siffatti, l’abate Parini credette scritto sui serio quei libro; ma giudizioso com’era, andava dicendo, che lo sciocco legale il quale avealo composto meritava un gastigo degno della sua ignoranza. Conviene dire però, che in Torino la filosofia avesse fatti