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xviii VITA

aveva avuta buona parte nell’assicurare Beccaria di codesta identità dei grani, e che quindi la colpa dell’errore spettava a lui, sulla fiducia del quale aveva principalmente il Beccaria supposta quell’uniformità. Bello e raro esempio d’ingenuità e d’amicizia si è questo.

Oltre alla critica del marchese Carpani data alle stampe, si deve credere che le massime esposte dal Beccaria fossero impugnate comunemente nel nostro paese. Le scienze economiche uscivano appena allora dalle fasce, e pochissimi erano quelli che ponevano opera in istudiarle. Tutti coloro che s’applicavano alla scienza del governo, credevano di trovarne le sane regole ed i giusti principii negli scrittori giuridici eh cui adottavano le opinioni ed i pregiudizi. Poca grazia per conseguenza doveva trovare il libro del Beccaria presso questa numerosa classe d’uomini, giacchè, lungi dall’essere appoggiato all’autorità dei loro prediletti libri, l’autore andava in esso esponendo le proprie idee col solo lume della ragione, e coll’aiuto delle matematiche, le quali erano presso che sconosciute alla maggior parte delle persone che venivano generalmente appellate colte, e che si reputavano le più addottrinate nelle cose della pubblica amministrazione.

Egli è perciò che il cavaliere Alessandro Verri, il quale attendeva in que’ tempi alla scienza legale, e collo svegliato suo ingegno scorgeva gli errori grossolani in cui erano caduti gli scrittori forensi in parlando delle monete, deliberò di rendere sensibile al pubblico l’irragionevolezza delle massime sostenute dai legisti