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e delle pene 117

verso il fisco, il che era lo scopo delle procedure criminali d’allora; così la confessione del delitto, e confessione combinata in maniera che favorisse, e non facesse torto alle ragioni fiscali, divenne, ed è tutt’ora (gli effetti continuando sempre moltissimo dopo le cagioni) il centro, intorno a cui si aggirano tutti gli ordigni criminali. Senz’essa un reo convinto da prove indubitate avrà una pena minore della stabilita; senz’essa non soffrirà la tortura sopra altri delitti della medesima specie che possa aver commessi. Con questa il giudice s’impadronisce del corpo di un reo, e lo strazia con metodiche formalità, per cavarne, come da un fondo acquistato, tutto il profitto che può. Provata l’esistenza del delitto, la confessione fa una prova convincente; e per rendere questa prova meno sospetta, a forza si esige cogli spasimi e colla disperazione del dolore, nel medesimo tempo che una confessione stragiudiciale, tranquilla, indifferente, senza i prepotenti timori di un tormentoso giudizio, non basta alla condanna. Si escludono le ricerche e le prove che rischiarano il fatto, ma che indeboliscono le ragioni del fisco; non è in favore della miseria e della debolezza che si risparmiano qualche volta i tormenti ai rei, ma in favore delle ragioni che potrebbe perdere questo ente, ora immaginario ed inconcepibile. Il giudice diviene nemico del reo, di un uomo incatenato, dato in preda allo squallore, ai tormenti, all’avvenire il più terribile; non cerca la verità del fatto, ma cerca nel prigioniero il delitto, e lo insidia, e crede di perdere