la clemenza ed il perdono diventano meno necessari. Felice la nazione nella quale sarebbero funesti! La clemenza dunque, quella virtù che è stata talvolta per un sovrano il supplimento di tutti i doveri del trono, dovrebbe essere esclusa in una perfetta legislazione, dove le pene fossero dolci, ed il metodo di giudicare regolare e spedito. Questa verità sembrerà dura a chi vive nel disordine del sistema criminale, dove il perdono e le grazie sono necessarie in proporzione dell’assurdità delle leggi, e dell’atrocità delle condanne. Questa è la più bella prerogativa del trono; questo è il più desiderabile attributo della sovranità, e questa è la tacita disapprovazione che i benefici dispensatori della pubblica felicità danno ad un codice che con tutte le imperfezioni ha in suo favore il pregiudizio de’ secoli, il voluminoso ed imponente corredo d’infiniti commentatori, il grave apparato delle eterne formalità, e l’adesione de’ più insinuanti e meno temuti semidotti. Ma si consideri che la clemenza è la virtù del legislatore, e non dell’esecutore delle leggi; che deve risplendere nel codice, non già nei giudizi particolari; che il far vedere agli uomini che si possono perdonare i delitti, o che la pena non ne è la necessaria conseguenza, è un fomentare la lusinga dell’impunità, è un far credere, che potendosi perdonare, le condanne non perdonate sieno piuttosto violenze della forza, che emanazioni della giustizia. Che dirassi poi quando il principe dona le grazie, cioè la pubblica sicurezza ad un particolare, e