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e delle pene 57

i delitti. Quell’efficace, perchè spessissimo ripetuto, ritorno sopra di noi medesimi: Io stesso sarò ridotto a così lunga e misera condizione, se commetterò simili misfatti, è assai più possente, che non l’idea della morte, che gli uomini veggono sempre in una oscura lontananza.

La pena di morte fa un’impressione che colla sua forza non supplisce alla pronta dimenticanza naturale all’uomo anche nelle cose più essenziali, ed accelerata dalle passioni. Regola generale: le passioni violenti sorprendono gli uomini, ma non per lungo tempo, e però sono atte a fare quelle rivoluzioni che di uomini comuni ne fanno o dei Persiani, o dei Lacedemoni; ma in un libero e tranquillo governo le impressioni debbono essere più frequenti che forti.

La pena di morte diviene uno spettacolo per la maggior parte, e un oggetto di compassione mista di sdegno per alcuni; ambidue questi sentimenti occupano più l’animo degli spettatori, che non il salutare terrore che la legge pretende inspirare. Ma nelle pene moderate e continue, il sentimento dominante è l’ultimo, perchè è il solo. Il limite che fissare dovrebbe il legislatore al rigore delle pene, sembra consistere nel sentimento di compassione, quando comincia a prevalere su di ogni altro nell’animo degli spettatori d’un supplizio più fatto per essi, che per il reo.

Perchè una pena sia giusta non deve avere che quei soli gradi d’intensione che bastano a rimuovere gli uomini dai delitti: ora non vi è alcuno che, riflettendovi, sceglier possa la totale