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e delle pene 55

è mai colui che abbia voluto lasciare ad altri uomini l’arbitrio d’ucciderlo? Come mai nel minimo sagrificio della libertà di ciascuno vi può essere quello del massimo tra tutt’i beni, la vita? E se ciò fu fatto, come si accorda un tal principio coll’altro, che l’uomo non è padrone di uccidersi? Ei doveva esserlo, se ha potuto dare altrui questo diritto, o alla società intera.

Non è dunque la pena di morte un diritto, mentre ho dimostrato che tale esser non può, ma è una guerra della nazione con un cittadino; perchè giudica necessaria o utile la distruzione del suo essere: ma se dimostrerò non essere la morte nenè utile nè necessaria, avrò vinto la causa dell’umanità.

La morte di un cittadino non può credersi necessaria che per due motivi. Il primo, quando anche privo di libertà egli abbia ancora tali relazioni e tal potenza che interessi la sicurezza della nazione; quando la sua esistenza possa produrre una rivoluzione pericolosa nella forma di governo stabilita. La morte di qualche cittadino diviene dunque necessaria quando la nazione ricupera o perde la sua libertà, o nel tempo dell’anarchia, quando i disordini stessi tengono luogo di leggi: ma durante il tranquillo regno delle leggi, in una forma di governo, per la quale i voti della nazione sieno riuniti, ben munita al di fuori e al di dentro dalla forza e dalla opinione, forse più efficace della forza medesima, dove il comando non è che presso il vero sovrano, dove le ricchezze comprano piaceri e non autorità, io non veggo necessità