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Giuseppe Canella, — ad Innsbruck per la causa nostra altre lotte sostennero nelle carceri.
Nessun rimprovero se tornerete vinti, purchè abbiate dato alla battaglia ogni forza vostra, ogni energia; e cadendo cadiate senza viltà, senza patteggiamenti.
Noi socialisti ci teniamo a far da scolte vigili di ogni vostra azione. Appunto perchè il partito nostro è il rappresentante di un proletariato che dà le sue forze ad una lotta, pur sapendo che della vittoria i primi frutti non saranno certo i suoi, esso ha più di qualsiasi altro il diritto di vigilare, di sindacare il vostro operato.
Ed ora tutti all’azione, al lavoro.
A sospingere al lavoro noi socialisti serve il mirare dietro alla meta di questa battaglia, altre mete più lontane che vogliamo raggiungere: dietro il trionfo dell’idea nazionale, il trionfo dell’idea umana, dopo la fatale ascesa della borghesia trionfatrice colle industrie e coi commerci sul medio evo feudale, l’ascesa del proletariato e con esso lontano in un avvenire di pace l’unione, la fratellanza delle nazioni e degli individui.
Ogni ricordo di queste rozze lotte di razza deve scomparire. Deve venir un giorno in cui non sia neppur concepibile il perchè di queste guerriglie selvaggie, il perchè di questi predomini brutali.
Pur troppo a noi sovviene il ricordo di molti, di troppi dolorosi episodi di questo conflitto.
E a me ritorna insistente alla mente quello che di questi giorni accadeva nel ’48 fra proletari italiani e proletari tedeschi — inconsci e gli uni e gli d’esser fratelli nella miseria — a Vilpian in sul tenere di Bolzano.
Colà viveva una famiglia di coloni italiani, che il proprietario del podere certo signor Capeller di Bolzano, vi avea chiamato dal Trentino per introdurre in quella località la coltura del gelso e l’allevamento dei filugelli.
Nel giorno 17 giugno verso le ore otto pomeridiane, quella buona gente sedea tranquilla a mensa per refocillarsi dalle fatiche della giornata, quando improvvisamente ode al di fuori un tu