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La questione trentina e la nazione italiana.



Tutte queste cose si sapevano assai bene in Italia durante gli anni del Risorgimento; si vennero dimenticando poi.

L’italianità del Trentino fu riconosciuta da Re Vittorio Emanuele II, che accolse sempre favorevolmente le deputazioni dei trentini e dava compimento alle promesse con l’invio dell’esercito regio che nel 1866, mentre Garibaldi era alle porte di Riva, giungeva a pochi chilometri da Trento.

L’italianità del Trentino ebbe posteriormente nuova documentazione ufficiale durante le trattative di pace per opera del Conte Nigra e di Emilio Visconti Venosta e in trattattive ulteriori tentate dal governo nel 1868 e 69.

Nel 1878 la questione trentina strappava qualche parola di consenso al Ministro Cairoli, ma non trovava un difensore nè convinto nè abile nel generale Curti, rappresentante d’Italia a Berlino. Negli anni posteriori il governo di Roma non spese più, che si sappia, una parola forte. Venne l’epoca dell’antirredentismo governativo. La causa di Trento e Trieste rimase solo affidata ai partiti popolari. Ebbe l’aiuto di Garibaldi, dell’Avezzana, di Imbriani e rifulse nel martirio di Oberdan. Poi venne la Triplice. Anche l’Italia popolare cominciò a dimenticarci. L’Italia fu l’umile ancella di Berlino e di Vienna. Mancò agli irredenti ogni aiuto. Mancò in breve la ricordanza. A tener vivo l’irredentismo pensò sola l’Austria!

Gli italiani di Trieste e di Trento accanto al programma massimo delle loro rivendicazioni ne formularono uno minimo che l’Austria avrebbe potuto accogliere. Chiesero il rispetto alla lingua italiana, il pareggiamento effettivo