Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
trento, trieste e il dovere d'italia | 121 |
Sono oggi raminghi nelle ospitali terre di Bretagna e d’Olanda, nella terra generosa di Francia; gli scienziati, gli artisti belgi non hanno più i loro templi della bellezza, della scienza, dell’arte; gli operai non hanno più le loro meravigliose officine; i contadini sono privi delle loro terre ubertose; eppure, così colpiti, saccheggiati, scherniti posson gridar alto che non tutto fu loro tolto. Essi possono rispondere come Arrigo Heine rispondeva ai doganieri: «Frugate, cercate pure nelle mie valigie se c’è qualche cosa di pericoloso. C’è nel mio cuore, nel mio cervello qualche cosa che voi non potrete mai sequestrare.» Con pari fierezza possono i belgi proclamare che la loro coscienza, la loro fisionomia nazionale non sono state punto offuscate. Ma così non possiam dir noi, italiani dell’Austria. Con infinita angoscia noi dobbiamo riconoscere che qualche cosa della nostra individualità ci fu tolto, che sulle anime nostre s’è iniziata un’opera di disgregazione; e dobbiam riconoscere che se il nostro coraggio contro il teutonismo è oggi scarso, più scarso sarà domani quello dei nostri figli, dobbiam constatare come troppo spesso, fatalmente, di contro alla ferocia dei governanti sorga l’arma corruttrice e corrotta dell’ipocrisia; e come il prolungato martirio costringa tutte le anime fiere e libere all’esilio lasciando il paese ognor più povero e stremato.
Questa terribile situazione ci obbliga a riconoscere che quei germanici che a colpi di cannone abbattono le cattedrali di Reims e di Louvain sono meno barbari degli austriaci, che a