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introduzione lxxxi

Il nome: Filippo Sgruttendio da Scafato, è, certo, un pseudonimo. Se non bastasse a provarlo la sua stranezza, lo proverebbe indubitabilmente la ricerca fatta dal Minieri Riccio, e da me ripetuta, nei fuochi o censimenti, di Scafati: nei quali non s’incontra nessuna famiglia di cognome Sgruttendio. È un pseudonimo: ma chi cela esso? Messa da parte la sciocca ipotesi, che celi Francesco Balzano 1, un’altra mi si era affacciata alla mente, che cioè l’autore non fosse altri che il Cortese. Ed era spinto a questa ipotesi, sia dal non trovare altro dei noti scrittori di quel tempo, al quale attribuire un così bel canzoniere; sia dal sembrarmi che le lettere del Basile, dove si parla di Cecca, fossero dirette al Cortese; sia, infine, dal notare, (cosa non avvertita da altri), che il Cortese, tra le molte opere inedite, ne lasciò una intitolata lo Colascione: ch’è quasi lo stesso titolo del canzoniere dello Sgruttendio. Ma se, come parrebbe dalla dedica dell’editore del 1646, allora, l’autore della Tiorba era ancora vivo, non può essere il Cortese, morto una ventina d’anni prima. E così si torna al mistero di prima 2.

Comunque sia, pel nostro scopo basta notare che nella fioritura dialettale, eccitata dal Cortese, fu prodotta que-



  1. V. Pietro Balzano, Ragionamento letto all’Accad. Pontaniana, il 1855. Lo combatte ragionevolmente, ma con immeritata minuzia e serietà, il Martorana, o. c., pp. 380 sgg.
  2. Nel libro del Celano, Degli avanzi delle Poste, P. II, Nap., per Antonio Bulifon, MDCLXXXI, pp. 45-6, accennandosi ai varii poeti napoletani, si nominano il Cortese, il Basile, il Quaranta, il Tarentino, napoletani.