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LXXVIII | INTRODUZIONE |
ha per data: mille e seiciento e zero co no chilleto, cioè 1601 a interpetrare rigorosamente, ma forse 1610, volendo ravvicinarla alle date delle altre. La terza è una lettera in prosa, colla data del 1614, diretta a un tale, che chiama: «frate mio», e che sembra lo stesso di Messer Uneco 1. La quarta, anche in prosa e colla stessa data, è diretta: «All’Uneco shiammeggiante, che pò rompere no bicchiero co le muse», ed è firmata Lo Smorfia. La quinta, firmata Lo Chiafeo, e colla stessa data, è diretta: «A lo settemo geneto de Messere, zoè fratemo carnale, lochiù stritto parente, che stace a Cosenza», cui manda un sonetto in lode di Cecca, della quale si professa innamorato, e racconta un sogno, e la buona speranza, che ne trae per questo amore.
Il Basile, scrittore dialettale, ci si presenta in queste lettere con un carattere spiccatamente diverso da quello del Cortese 2. Il suo ingegno si manifesta esageratore e paradossale. Il dialetto è veramente per lui un istrumento da sfoggiare la bizzarria delle sue ricerche, e la ricchezza della strana terminologia dialettale, che ha saputo raccogliere. Per ogni qualifica egli trova venti aggettivi; per ogni oggetto, che nomina, venti varietà. Egli dovè porre uno studio particolare nell’andare notando tutte le espressioni e le frasi dell’infima plebe: il suo fondamento artistico è un ricco vocabolario.