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INTRODUZIONE | LXXVII |
li vienti, promessa all’edizione del 1615, per Tarquinio Longo, della Vajasseide, e gli argomenti a questo poema, e alcune lettere, che gli fanno coda.
Sul frontespizio dell’edizione è detto: «con gli argomenti, e alcune prose di Gian Alesio Abbattutis». Queste prose, meglio, lettere in prosa e verso, sono state attribuite da alcuni al Cortese stesso 1; ma erroneamente. Il Basile stesso ne rivendica la paternità, avendo lasciato scritto, in una prefazioncella, preposta alle Muse Napolitane: «comme ne facette lo medesemo autore n’autro scampolo a chelle lettere, che fecero cammarata co la Vajasseide, dalle quale, come robba propria, se n’ha pigliato l’accoppatura» 2.
Nella prima di queste lettere, ch’è in versi sdruccioli, Gian Alesio risponde a una lettera napoletana, direttagli da un notar Cola Maria Zara, e lo ringrazia della dedica, che gli voleva fare, di un’opera. La lettera ha la data del dicembre 1614. Nella seconda, anche in versi, risponde «a lo muto lostrissimo e magnifico Comm’a frate carnale Messer Uneco», che voleva pigliar moglie, e Gian Alesio gli consiglia Cecca,
Cecca, che de Napole
È lo shiore, lo spanto e lo martorio,
e della quale gli descrive le bellezze, cioè a dire, le bruttezze. La lettera è firmata col nome Lo Chiafeo, ed