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INTRODUZIONE LXVII

quel periodo letterario, che si chiama il seicento. Certo, s’ingannerebbe chi credesse che i letterati d’allora si volgessero al popolo e al dialetto, per quel desiderio del semplice e del vero, ch’è, in certo modo, la ragione del presente rifiorire della letteratura dialettale. Veramente, del semplice e del vero essi avevano bisogno! Ma quel volgersi al dialetto non era la medicina della loro malattia, ma, anzi, una manifestazione di questa loro malattia. Il dialetto rappresentava, per quei letterati, il nuovo, il bizzarro, l’ingegnoso, lo spiritoso! E così si spiega anche come la letteratura dialettale napoletana non fosse letteratura seria, ma letteratura burlesca.

Tuttavia, appunto perchè letteratura burlesca, essa ebbe alcune doti di semplicità e di freschezza, che non aveva la contemporanea produzione in lingua italiana. La disposizione giocosa del loro spirito liberò quegli scrittori da molti difetti e stranezze del gusto del tempo. E, oltre a ciò, non bisogna disconoscere che non si avvicinarono impunemente alle fresche e dolci acque dell’ingegno popolare.

Ho detto che le ragioni della fioritura furono parecchie. Un’altra, anche importante, è d’indole, per così dire, locale, anzi municipale. La produzione letteraria italiana, a Napoli, come in molte parti d’Italia, aveva un carattere esotico, e sembrava quasi imposta di fuori. Per partecipare alla vita letteraria d’Italia, bisognava rinnegare la lingua inconsciamente appresa da fanciulli, e imparare, quasi come lingua straniera, sui libri e nelle scuole, il toscano. È naturale che, di tanto in tanto, nascesse in alcuni amatori della lingua e delle costumanze paesane