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introduzione lix

Canto l'heroe, d’Achille inclito germe,
E ’l seme di Perseo, l’alta Donzella,
Che trasse errando in parti ignote et erme
Fortuna, a lor lunga stagion ribella;
Alme in valor non vide il Ciel più ferme,
Coppia non ebbe Amor più fida e bella;
Molti affanni soffrirò; in Meroe alfine
Cinser di bianche bende il nobil crine.

Questa prima ottava non promette molto, e il resto, difatti, risponde al principio. Il servile versificamento non è rallegrato se non dai soliti luoghi comuni dei poemi heroici; la forma è piena zeppa d’improprietà; i versi, disarmonici e stentati. Il brutto poema doveva essere dedicato a D. Antonio Barberino.

Nel Canto V, il Basile introduceva, con un artifizio, le lodi dei poeti del suo tempo. Calasiri descriveva il tempio d’Apollo in Delfo, dove erano, tra l’altro, l’effigie di tutti i mecenati e poeti, passati e futuri. Tra i mecenati, nominava il suo presente signore, il Duca dell’Acerenza:


Un Galeazzo ancor, prodigo altrui
Quanto largo di pregio a lui fu il cielo,
Non vedrà mai nei fatti incliti sui
Giunger del Tempo o della Morte il telo!
O mille volte fortunato, a cui
Dato in sorte a vestir terreno velo
Sarà in quei lieti e fortunati giorni,
Quando un sì vivo lume il mondo adorni1!


E, di poeti, una tale valanga d’immortali poetucoli e poetastri, da fare spavento!



  1. Teagene, C. V, 49.