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introduzione | xlvii |
Della terra, s’accorge
D’un’occulta apertura, che penètra
Sin dove siede la città del foco,
Per cui, ratto scendendo,
S’invola agli occhi del sagace amante!
O di cieco timor ferza inaudita!:
Non mira, per fuggir, ch’ella già rompe
Del liquido elemento
Le innate leggi eterne,
Che il suo contrario aborra;
E va nel cerchio ardente a portar l’onde
De l’infernal Cocito!
La famiglia d’Inferno
Stupida a mirar prende
Il non più visto fonte,
E fa ’l nuovo portento
Sospender fra quell’alme ogni tormento!
Non si pascon gli augelli.
Non si volgon le ruote,
Non si conduce il sasso a l’alto monte
Nè col cribo si trae l’acqua dal fonte!
Il regnator de la penosa Dite,
Da torvi rai spirando arida luce,
Intende d’Aretusa
Che l’abbia spinto al tenebroso regno.
E, di suoi gravi affanni
Pietoso, forse avria dato a quell’acque
Incendioso albergo;
Ma, per non porre al suo cocente nido
Ospite sì nemica,
L’insegna, ov’ella il varco
Trovi, onde sorga a rivedèr le stelle.