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xlvi introduzione

E, da Avellino, dedicava al Principe il suo idillio: Aretusa1, ch’è una delle migliori cose, forse la migliore, che gli uscisse dalla penna, composta in un momento felice, un bel pezzo di storia mitologica, raccontato secondo gli ideali di un letterato seicentista, con tutti i ghirigori barocchi del tempo, ma con molta vena, molto brio, e facilità e melodia di verso. Fa pensare a certi bei dipinti mitologici della scuola bolognese, dei Caracci, o di Guido del Domenichino. Eccone, come saggio, l’ultima parte, dove si descrive l’inseguimento, che fa Alfeo, dell’amata Aretusa:

Alfeo, per quello stesso
Precipizio mortal, sospinse l’acqua,
E, per l’interne viscere ed occulte
De la Terra, e per sotto il mar spumante.
La segue ovunque vada!
Né già potea, per tante
Caligini d’orrori,
Smarrir di lei la sospirosa luce!;
Né già potea per tante humide vie
Sentir men calde l’amorose fiamme!;
Chè mal può l’Oceano
D’impetuoso Amor spegner l’arsura!
Alfin, la sbigottita,
Entro al più cupo seno



    Christo sofferto dalla Vergine e Martire santa Cristina», egli, pregato, compose alcuni versi per quell’occasione.

  1. È sconosciuta a tutti i bibliografi: L’Aretusa Idillio di Gio. Battista Basile Cavaliero Conte Palatino et Gentil'huomo dell’Altezza di Mantova, s. a. 1. (pp. 31 numm., e a p. 32, errata corrige). La ded. é firmata: «Nella sua città d’Avellino, a primo Gennaio 1619».