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272 lo cunto de li cunti

Mar. Aglie1, tu me vai nchienno pe le mano!
          Chesta è n’arte de spanto,
          Ma n’arte, che non resce a poverielle,
          Si non a cierte masaute2,
          A li quale è conciesso de chiammare
          Venenno da lontano asciutte asciutte,
          Agie li grancie3 suoi, li furte frutte!
Col.    Nce sarà no potrone, vota-facce,
          No jodio4, caca-vrache, na gallina,
          No poveriello d’armo,
          Core de pollecino,
          Sorriesseto, atterruto,
          Agghiajato, schiantuso,
          Che tremma comm’a junco,
          Sempre fila sottile,
          Sempre ha la vermenara,
          Lo filatorio ncuorpo,
          E le face paura l’ombra soja;
          S’uno lo mira stuorto,
          Fa na quatra de vierme;
          Si n’antro l’ammenaccia, tu lo vide
          Comm’a quaglia pelata;
          Deventa muorto e spalleto.
          Le manca la parola,
          E subeto le veneno li curze;
          Si chillo caccia mano, assarpa, e sbigna!
          Ma co sta tenta nobele
          Lo teneno le gente
          Pe perzona prodente,



  1. Capperi!
  2. Sec. il Galiani (VN): corruzione dallo spagn. mas alto: e, quindi, persona distinta, principale; e, ironic., furbo, birbone.
  3. Ruberie.
  4. Ebreo pauroso; come per le persecuzioni secolari e l’odio generale erano divenuti gli ebrei. Nelle MN., I: «Iodio quaglia pelata, Core de polecino».