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introduzione xxxi

Poesia, ben il potete conoscere con paragonare questi ad alcuni altri suoi primi parti, che, stampati forse contro sua voglia, si può dir nella fanciullezza, devono solo come presagio di questi, che hora vedete, essere riguardati, da quegli occhi però, che non sono da ignorantia nè da maligna invidia macchiati, e biecamente l’altrui fatiche non rimirano».

E lo stampatore, e l’autore per esso, ha ragione. — Le avventurose disavventure sono, a dir vero, una delle solite favole marittime del tempo, colle solite situazioni e il solito svolgimento: un rapimento dei Turchi, che serve a imbrogliare e confondere lo stato civile dei personaggi; degli innamoramenti, che, quasi tutti, han sbagliato il loro segno; una donna, che va pel mondo, vestita da uomo; e una serie di riconoscimenti finali e di matrimonii. E non vi mancano i soliti luoghi comuni: il pastore o il pescatore che non ama, tutto intento alla caccia alle reti; le lodi dell’età dell’oro; i lamenti contro i capricci e l’ingiustizia della fortuna; ecc. Ma, tuttavia, la favola è composta con una relativa semplicità e molta facilità; ed è scritta in versi fluidi e armoniosissimi: il che, in mancanza d’altro, è sempre qualcosa.

Ecco, come saggio, questo lamento della Ninfa Tirrhena:

Voi, che sembianza avete
De l’Idol mio crudele,
Che sì gelato ha il core,
Che non sente giammai fiamma d’amore;
Ruscelletti di neve,
Chè non date rimedio al mio gran foco?