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164 lo cunto de li cunti

          De chella cosa, ch’amma,
          Che quanto arrasso è chiù, tanto è chiù arrente,
          Prova appena lo doce, che se pente!
Fab. O tristo chi nce matte
          A ste rotola scarze1!
          Nigro chi mette pede a sta tagliola!,
          Ca sto cecato manna
          Li guste a deta, e li tormiente a canna!
Iac. E lo scuro poeta
          Delluvia ottave, e sbufara soniette,
          Strude carta ed angresta2,
          Secca lo cellevriello,
          E conzumma le goveta3 e lo tiempo,
          Sulo perchè la gente
          Lo tenga pe n’oracolo a lo munno;
          Va comme a spiretato.
          Stentato e nsallanuto4
          Pensanno a li conciette,
          Che mpasta nfantasia,
          E va parlanno sulo pe la via,
          Trovanno vuce nove, a mille a mille:
          «Torreggianti pupille,
          Liquido sormontar di fiori e fronde,
          Funebri e stridule onde,
          Animati piropi
          Di lubrica speranza,
          O che dismisurata oltracotanza!»
          Ma, s’isso è copellato,
          Se ne va tutto nfummo!
          O che bella composta! — , e loco resta!
          Che matricale! — , e spienne!
          E, fatto lo scannaglio,
          Quanto fai vierze chiù, manco nc’è taglio!



  1. Disgrazie.
  2. Inchiostro.
  3. Gomiti
  4. Trasognato.