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138 lo cunto de li cunti

Fab. È quarcosa de bello?
Jac. A punto, e de mascese1
Fab. Ma puro?
Jac. È na coppella2!
Fab. A che te serve?
 Jac. Si tu sapisse!
 Fab. Elà, sta ncellevriello,
          E arràssate3 da me4!
Jac. Perchè?
Fab. Chi sape.
         Che parasacco, mo, non te cecasse?
         Tu me ntienne!
Jac. Te ntenno;
         Ma tu ne sì da rasso ciento miglia!
Fab. Che saccio io?
Jac. Chi non sa, sta zitto, e appila!
Fab. Saccio, ca non sì arefece.
         Né manco stillatore;
         Fa tu la consequenzia!
Jac. Tirammonge da parte, o Fabiello,
         Ca voglio che stordisce e che strasiecole!
Fab. Jammo a dove te piace!
Jac. Accostammonge sotto a sta pennata,
         Ca te farraggio scire da li panne!
Fab. Frate, scumpela priesto,
         Ca me faje stennerire!
Jac. Adaso, frate mio!
         Comme sì pressarulo5?



  1. V. n. 36, p. 37
  2. ch’è quel vasetto di cenere, usato dagli orefici, da cimentarvi oro o argento.
  3. scòstati.
  4. Pensando che la coppella gli serva per fare monete false, il delitto allora più comune ed esecrato: cosicchè quasi non c’era giorno che non s’impiccasse squartasse qualche monetario falso. V., passim, le cronache del Guerra, del Zazzera, del Bucca.
  5. Frettoloso.