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introduzione | xxi |
Ma, nonostanti queste efficaci esortazioni, Giovanni Bembo seguitava nei suoi apparecchi militari. E, sulla fine dell’aprile, si recò a Corfù, dove voleva raccogliere il nerbo della sua flotta. A Corfù gli giunsero venti navi da Candia, delle quali quattordici armate a spese dei nobili Veneti e Candioti1.
Su queste navi dovette essere imbarcato anche il nostro Basile. La flotta riunita navigò lungo le coste dell’Epiro, percorse il mar Jonio per varii mesi, e rese sicura tutta quella zona ai sudditi della Repubblica2.
Il Basile scrive: «Meraviglioso fu egli a vedere con qual alto avvedimento e somma prudenza l’Eccellentissimo signor Giovanni Bembo, sovrano Argonauta e Generalissimo della veneta Armata, guidò amplia classe di maritimi legni; sicchè non fu alcuno in essi che non si recasse a singolar ventura l’essere al sommo impero sottoposto di sì glorioso duce». Egli stesso sperimentò più volte da lui un «incomparabile dimostramento di benignità»; e, per gratitudine, — magro ricambio! — , gli consacrò una delle solite odi3.
Ma sopravvenne l’autunno; gli Spagnuoli e i Turchi pigliavano i quartieri d’inverno, e Giovanni Bembo tornò a Venezia. Il Senato rese grazie ai comandanti candioti dell’opera egregiamente prestata, e dell’amore mostrato verso la Repubblica.4