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introduzione | xiii |
Ma, quando io più credea
Ch’avvalorarmi in conquistar gli allori
Dovesse la mia patria, io vidi allora
Chi più amarmi dovea pormi in non cale:
Dura condizion di nostra etade,
Che di suoi figli stessi
L’alte virtù la propia madre abborre1!
E altrove parla «delle tempeste, che nei primi anni della sua giovinezza gli mosse ingiuriosa fortuna»2.
La patria non proteggeva, anzi perseguitava colle armi dell’invidia, i figli, che le avrebbero fatto onore; e il giovane Basile lasciò Napoli:
Ond’io fuggir disposi
L’ingrate rive, e gir cercando altrove
La mia fortuna3.
S’era sulla fine del secolo. Una delle sorelle del Basile, l’Andriana o Adriana, aveva sposato da poco un gentiluomo calabrese, chiamato Muzio Barone; e la sua fama di grande cantatrice era ancora latente. Le altre due sorelle erano ancora quasi fanciulle. Di uno dei suoi fratelli sappiamo che era dottore in legge.4 L’amico Giulio Cesare Cortese nel 1600 andava a riempire a Trani l’ufficio di assessore, concessogli dal Conte di Lemos5.