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introduzione clxi


La ricca messe di tradizioni popolari, raccolte dal Basile, rientra quasi tutta in quel genere della produzione novellistica popolare, che più propriamente si chiamano fiabe. Di certo, classificazioni logiche e profonde, nel campo della novellistica, non sono ancora possibili; ma la distinzione delle fiabe dalle leggende storiche o religiose, dagli apologhi, dalle facezie, e anche, dalle semplici novelle, è cosa, che basta enunciarla, perchè s’intenda.

Di trattenemienti, che non sieno fiabe, nel Cunto de li Cunti ve ne son pochi. Vi è, prima di tutto, qualche novella semplicemente faceta. Tal’è quella, intitolata lo Compare (II, 10), nella quale si racconta come «Cola Jacovo Aggrancato ha no compare alivento, che se lo zuca tutto, nè potenno co arteficie e stratagemme scrastaresillo da cuollo, caccia la capo da lo sacco, e, co male parole, lo caccia da la casa».

Il T. II della G. IV (Li dui fratielle) è, — come disse il Grimm — , piuttosto una novella morale (sieht eher einem Lehrgedicht ähnlich). Vi si narra come: «Marcuccio e Parmiero, fratielle, uno ricco e viziuso, n’autro vertoluso e pezzente, se vedono, dapò varie fortune, lo povero scacciato da lo ricco deventato barone, e lo ricco, caduto nmeseria, connutto vicino la forca. Ma, canosciuto nocente, è da lo frate recevuto a parte de le ricchezze soje».



    mille autre città jute all’acito; le quale conserva pe memoria de le mprese soje.....».


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