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introduzione | cxlvix |
Il Wieland, — dice un suo critico — , volle in questo racconto adombrare il concetto espresso dallo Schiller nei versi:
Was kein Verstand der Veslandigén sieht
Das ubet in Einfalt ein kindlich Gemùht!
Ma, forse, sbagliò nel rappresentare dapprima il suo eroe, non come uomo d’animo semplice, ma come persona rozza e goffa. È felicissima, invece, la mescolanza della più profonda serietà colla più furbesca malizia, e l’esecuzione mostra la maestria del poeta nell’esporre le singole situazioni.1.
Si è vista la polemica, alla quale il Cunto de li Cunti dava luogo nel 1779-80 fra il Galiani e il Serio. E, pochi anni dopo, lo stampatore Porcelli, nel pubblicare la sua Collezione dei poemi in lingua napoletana, nei volumi XX e XXI ristampò, il 1788, le opere napoletane del Basile, cioè il Cunto de li Cunti e le Muse; e questa è stata l’ultima edizione, che se ne sia fatta nel dialetto originale. In essa il testo del Basile, già segno di tante arbitrarie correzioni, è rovinato nel peggior modo, specialmente per ciò che riguarda l’ortografia. Questa edizione è la più facile a trovarsi2.