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introduzione cxlv

delle fiabe, è uno dei più notevoli. Anch’egli, come il Basile, non espose le fiabe, con la sola intenzione artistica di riprodurre in forma conscia l’inconscia produzione popolare. Che, anzi, le fece servire a tutto un complesso di teorie e polemiche letterarie. Ma anch’egli, come il Basile, pure profanando, e in misura molto maggiore, la creazione popolare, non la corresse, e non la svisò, e il sentimento popolare sopravvive in quelle elaborazioni teatrali, ragione del fascino, che hanno esercitato su molti critici di questo secolo. I fini letterarii che si propose il Gozzi, furono, — come disse stupendamente Francesco de Sanctis — , fini transitorii, «i quali poterono interessare i contemporanei, dargli vinta la causa nella polemica e nel teatro, e che oggi sono la parte morta del suo lavoro». Ma la parte viva della sua opera è «il concetto della commedia popolare in opposizione alla commedia borghese..... Il contenuto è il mondo poetico, com’è concepito dal popolo, avido del meraviglioso e del misterioso, impressionabile, facile al riso e al pianto»1.

Nella Bibliothéque des romans furono dati alcuni estratti del Cunto de li Cunti del Basile. E, da questi estratti, il Wieland, nel 1778, desunse la materia di un




    l’Augel Belverde, infatti, è tratto dalla Ngannatrice ngannata (c. III della Posil.), cosa non notata né dal Magrini (I tempi, la vita e gli scritti di Carlo Gozzi, Nap., l887, p. 221), né dal Masi (l. c.); e che veggo ora notato dal Rua, Intorno alle Piac. notti, l. c., XVI, 238.

  1. F. De Sanctis, Storia della letter. ital., Nap., 1879, II, 39l.

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