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introduzione | cxliii |
zione italiana sarebbe stata pel Cunto de li Cunti una nuova vita. Ma non era fatica da poterla fare uno scrittore del secolo XVIII colla sua ammiserita lingua italiana! Del resto, questa traduzione italiana è tanto cattiva, che non è il caso di dar di essa nessuna colpa al secolo XVIII; la colpa va tutta intera al pessimo anonimo traduttore.
Il quale, anche, tolse via le egloghe, e, inoltre, intere novelle1 e abbreviò e sfrondò le altre, e si dette finanche il gusto di mutare infelicemente i nomi dei personaggi, ed altre circostanze. Ma, lasciando stare i grossi spropositi che vi sono2, con quale goffaggine sia fatta la traduzione, lo dice quest’esempio, ch’è tolto dal principio della prima novella:
Eravi nella Città di Biserta una dama dabbene chiamata Drusilla, la quale, oltre a sei figlie femmine, avea un figlio maschio tanto sciocco e scimonito, che la povera madre perciò ne stava scontentissima; nè v’era giorno che non l’avvertiva, ora correggendolo dolcemente, ed ora al dolce delle correzioni, vi mescolava l’asprezza delle invettive, od anche, se v’era di bisogno, delle bastonate; con tutto ciò non furono queste cose bastanti a far sì che Rodomonte si fosse riavuto dalla sua dapocaggine; per la qual cosa, vedendo Drusilla non esservi speranza, che suo figlio ravveduto si fosse dalla sua sciocchezza (quasichè il difetto di natura fosse stato in lui cagionato per colpa sua), un giorno fra gli altri con un bastone lo battè di maniera, che poco vi mancò a non romperle tutte le ossa, ecc.