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cxlii introduzione

chi. Chi lizrà l’ Napolitan’, vdrà anch, ch’ai è dLa robba, ch’ n’è tradutta brisa, e quest, perchè gli in digression ch’ai ho stimà, ch’ s’ possn tralassar senza ch’ s’ guasta la sostanza dla fola»1.

Certo, a questo modo, le novelle hanno perduto un po’ l’impronta originale. Ma, così abbreviate e sfrondate, esse sono anche belle, e, se han perduto da una parte, hanno acquistato, dall’altra, qualità, che prima non avevano. Le traduttrici raccontano con vivacità e garbo, e con semplicità, e con intonazione tutta popolare.

E la loro opera fu fortunata, perchè ebbe ristampe del 1742, 1777, 1813, 18392 e 1872. Essa «fissò le regole e l’ortografia del dialetto, e divenne il codice del bel parlare bolognese, e si ristampa ancora, e, per quanto conti un secolo e più di età, non mostra di essere invecchiato, nemmeno nelle forme esteriori ed ortografiche del dialetto»3.

Cosi si potessero fare le stesse lodi a un traduttore italiano, che ebbe il Basile, il 1754! Un’artistica tradu-



  1. Cito dall’ed. Bulogna MDCCCXIII, per Gasper de’ Franceschi alla Clomba.
  2. Quella del 1839 è intitolata: Al Pentameròn d’Zvan’ Aléssi (sic) Basile, osia zinquanta fol dette da dis donn in zeinqu giornat; ed ha molte varietà sulle precedenti, perchè riveduta sull’originale napoletano, le novelle divise in cinque giornate, e fattevi molte aggiunte di passi tralasciati, come anche delle quattro egloghe, che vi sono esposte in prosa. L’ed. del 1872, presso Priori, è cit. dal Pitrè (Fiabe popolari sic., Palermo, 1875. I, p. LIII n.).
  3. O. Guerrini, La vita e le opere di Giulio Cesare Croce, Monografia, In Bologna, presso Nicola Zanichelli, 1879; pp. 134-5.