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introduzione cxxvii

ecc. ecc.». Ora, tutte le frasi sottolineate esistono in dialetto, ma si dicono solo in alcuni casi particolari, o dispregiativamente o goffamente parlando. Il Basile, invece, ne usa a tutto pasto.

Eppure, il Basile, malgrado la sua buona voglia di scrivere un dialetto napoletano in tutta la sua goffaggine, conservò e contribuì a stabilire l’uso di alcune forme auliche nel dialetto, che non si spiegano se non come eredità del tempo, nel quale il dialetto s’adoperava come lingua, e si cercava di sollevarlo verso il toscano. Di queste forme auliche, le più notevoli consistono negli articoli definiti lo, la, li, le, che vi si adoperano, laddove, nel dialetto schietto, gli articoli sono o (u), a,1.

Si noti ancora che i bisogni del suo stile e delle sue caricature hanno richiesto l’uso di molti vocaboli, specialmente astratti, che il popolo non ha, perchè non sente il bisogno d’indicare i pensieri, che vi corrispondono.

Tutte queste varie alterazioni hanno per effetto che per chi legga ora il Cunto de li Cunti, avendo riguardo al dialetto vivente, — che non può poi essere di molto diverso da quello vivente di due secoli fa — , il dialetto del Basile sembra, più che una lingua realmente parlata, una di quelle lingue arbitrarie, create dai letterati per fini letterarii, come la lingua maccheronica, o la lingua pedantesca.



  1. Di qui uno dei punti principali della disputa tra i sostenitori del dialetto letterario e del dialetto parlato: i primi dei quali vorrebbero che si scrivesse, per es.: lo pane, la sora, e gli altri, giustamente: u ppane, a sora.