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introduzione cxxv


Altri appunti, i più giusti di tutti, furono mossi dal Galiani alla lingua del Basile. Ma, già un mezzo secolo prima del Galiani, varii di quei difetti erano stati riconosciuti da uno scrittore napoletano, autore rinomato di libretti buffi, Francesco Oliva, in una sua incompleta ed importante Grammatica della lingua napoletana, che si trova manoscritta alla Biblioteca Nazionale1. Il Galiani comincia col dire che il Basile aveva «la più incredibile e minuta contezza di tutte le voci, dei proverbii, de’ modi di dire, e delle espressioni strane e bizzarre, usate dal volgo». Ma, per isfoggiare questa ricchezza, accumula le parole e le frasi, «onde, avviene che, spessissimo, collochi fuor di luogo parole e frasi, che non hanno quel senso in cui egli lo impiega». Infatti, «è grande il numero delle parole toscane che egli ha forzate e contorte alla pronunzia nostra, quantunque da noi non mai adoperate. Incredibile è poi a vedere lo studio e la fatica che fa a non usar mai quelle voci, pure italiane, che in gran copia abbiamo, ed usualmente adoperiamo, e sostituirci o le più rancide o le più laide dell’infima plebe, solo perchè si scostano dalla lingua generale italiana»2.

E, delle tre classi principali d’errori di lingua, che distingue nella sua grammatica, il Basile fornirebbe largamente gli esempii; perchè, infatti, è reo, sia di parole



  1. Ms. Bibl. Naz. xiii, ii, 56. — V. spec, p. 44
  2. 0. c., pp. 123-4.