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soprattutto nello stile: personalità spiccata, ed impersonalità popolare. C’è la voce del popolo nel suo libro, e c’è il letterato seicentista con tutti i suoi pregi e i suoi difetti, dei quali ultimi sembra farsi beffe egli stesso. Ed, a far questo, gli giovò moltissimo e l’aver vissuto nel seicento, e l’aver adoperato il dialetto napoletano. Quel dialetto gli dà un non so che d’ingenuo e di beffardo ad un tempo; e sembra contenere ironia implicita.....»1.

Varii appunti sono stati mossi allo stile del Basile. Il Galiani pretende che il Basile abbia voluto imitare, anche nello stile, il Boccaccio; il che non è esatto. Ma non si può negare che il Basile, dal lato della forma esteriore, scriva piuttosto male. Non già che si debba pretendere, che egli, scrivendo nel seicento, avesse dovuto pensare a stenografare il dettato popolare delle fiabe, come ha fatto Vittorio Imbriani, «ritraendo esattamente la maniera, con cui fraseggia e concatena il pensiero il volgo2». E neanche che avesse dovuto cercare di rappresentarlo artisticamente, come ha tentato qualche artista moderno. Ciò, del resto, era escluso dalla posizione stessa, da lui as-



  1. Imbriani, o. c., 446-8. V. anche in questo luogo quel che dice contro il Galiani e il Cantù. E di quest’ultimo, che egli chiama il più fecondo se non il più facondo, il più voluminoso se non il più luminoso, degli storici italiani, riportato e criticato il giudizio, conclude spiritosamente: «Il Basile, se vivesse, sclamerebbe, bisticciando al solito suo: O can tu!»
  2. V. Imbriani, La Novellaia fiorentina, Livorno, F. Vigo, 1877, ded. e pref.