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introduzione cix

mai si sentisse, perciochè la poavola, con i denti, gli aveva preso una natica, ecc.».

Potrebbe dubitarsi che lo scambio della papara colla bambola fosse un’alterazione fatta dallo Straparola alla tradizione popolare. Ma no: una fiaba siciliana, raccolta dal Pitrè, prova che nella tradizione c’era difatti la bambola. La versione del Pitrè è intitolata: La Pupidda, ed è in tutta simile a quella del Basile, e solo al punto in questione, dice: che il Re «vidi da ’n terra la pupidda cu ddu folareddu biancu pulitu e la pigghia pri stujàrisi. Chi fa la pupidda? Sàuta e si nfila ’nculu a lu Re»1.

Come mai il Basile ha, dunque, sostituito alla bambola, della versione popolare e dello Straparola, la papara? Il Grimm aveva osservato (poco verisimilmente, a me sembra), che la somiglianza delle parole napoletane pipata (bambola) e papara, doveva forse aver prodotto lo scambio2.

Ma il Liebrecht, invece, pensa che lo scambio sia avvenuto per effetto del famoso capitolo XIII del Gargantua, nel quale si espone: Comment Grandgousier cogneut l’esprit merveilleux de Gargantua à l’invention d’un torchecul, e si viene alla conclusione: «qu’il n’y a tel torchecul que d’un oison bien dumeté, pourveu qu’on lui tienne sa tète entre les jambes, ecc. ecc.»3.



  1. Pitrè, Fiabe, Novelle, ecc., IV, {Bibl., VII), n. CCLXXXVIII, pp. 242-7. Cfr. anche I (Bibl., IV), n. XXV, pp. 221-26.
  2. Kinder und Hausmärchen, III, 291.
  3. Trad. ted. cit, II, 260; cfr. Dunlop, l. c.