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introduzione xcvii

trionfale, nel campo dell’arte, abbigliate di tutta la pompa e le bizzarre e strane fogge della fantasia popolare.

Il Basile racconta le fiabe come fiabe. — Ma quale interesse poteva egli prenderci, qual significato poteva darci, perchè ripeteva e rifaceva queste fiabe, che aveva raccolto dal popolo? Qual’era, insomma, l’intuizione, che aveva, di questa sua materia? — Bisogna determinare questo punto, per determinare la natura dell’opera.

Le fiabe, considerate come materia grezza, possono servire, naturalmente, a scopi svariati, scientifici, morali, artistici. E, tralasciando gli scopi scientifici e morali, quanto ad arte possono dar luogo, per esempio, al conte philosophique, col quale la fantasia vede in esse quasi simboli d’idee; possono dar luogo ad una sorta di poetica rievocazione del passato fanciullesco ed ingenuo. «Ah!», — diceva, pieno di Sehnsucht, Errico Heine, quando, attraversando il Tirolo, vedeva lungi sui monti le piccole casette tirolesi, dipinte in verde e in bianco, tutte fiori e immagini di santi e visi di fanciulle — , «vi si deve star pur bene e intimamente lì dentro, e la vecchia nonna deve raccontare le più recondite storie1!» . Questo poetico sentimento, o sentimentalismo, è appunto espresso nei versi famosi del La Fontaine: «Si Peau d’àne m’était conte, J’ y prendrais un plaisir extrême!»; e di esso ebbe un sentore nel secolo scorso, in Italia, Carlo Gozzi2.



  1. Reisebilder (Italien), I, Kap. XII.
  2. «Io confesso, — scriveva il Gozzi, nel fare l’esposizione del suo Amore delle tre Melarance — , che rideva di me medesimo, sentendo

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