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introduzione xci

l’osservazione dei fatti, sono straordinarie1 Ma l’eloquenza dei dialoganti è l’eloquenza seicentistica dello scrittore. Si ha così la vita popolare napoletana del tempo, passata attraverso i gusti dello scrittore seicentista. Ma, fortunatamente, tali gusti non sono, in questo caso, le solite freddure mitologiche, o i giuochetti di anagrammi, dei quali si compiaceva lo scrittore italiano.

Sono tutt’altri. Sono le lunghe enumerazioni, con le quali un oggetto, un fatto, è presentato sotto molteplici e svariatissimi aspetti. Ovvero, quella che l’Imbriani chiama bene sinonimia scherzosa2, per la quale uno stesso pensiero, una stessa cosa, è detta con una lunga filza di parole, e frasi, e circonlocuzioni. Il Basile ne aveva già dato esempio nelle Lettere, che abbiamo visto; ma, nelle Lettere, questa sinonimia era poco più dell’opera di un vocabolarista; nelle Egloghe, diventa un mezzo artistico,

E sotto queste esagerazioni e queste bizzarrie palpita la vita. Ecco, per esempio, come nell’Egl. V sono descritte le carezze, e i vezzi, e i discorsi amorosi dei ziti (sposi):


          E, datole no vaso a pezzechillo,
          Secoteja, e le dice:
          « Tu sì lo capo mostro
          « De le piantate cose!



  1. Cosicchè, queste egloghe hanno anche un valore storico non piccolo. Di moltissime costumanze napoletane si conserva in esse l’unico documento. — Ma qui non è il luogo d’illustrarle, sotto questo rispetto.
  2. Imbriani, l. c., II, 455.6.