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la messa Io mi son giovinetta, e l’altra dell’homme armé, canzone popolarissima, e che fornì il tema di sacre composizioni ai più eccellenti maestri, quali furono Jusquino Del Prato, De la Rue, Tinctoris, Morales ec. ec. Vuolsi aggiungere, che il Palestrina, in una dedica a Gregorio XIII, si rese in colpa di ciò. Se i Sebastiano Bach, gli Haendel, i Cherubini si mostrarono sommi nell’artificio della fuga, non pervennero mai a dare ad essa altra espressione oltre di quella materiale dell’udir ripetere da voci diverse, in tuoni differenti, foggiato variamente, uno stesso pensiero musicale. Canoni e fughe sono utilissimi esercizj scolastici, e nulla più. Il Verdi, per temperare la sazietà, che genera il canone, fece uso, in questo pezzo, dell’effetto di sonorità, facendo ripetere, da ultimo, il motivo ad unisono dal coro.

L’aria del delirio di Nabucodonosor (baritono), che chiude il secondo atto, è assai bene concepita drammaticamente. Ivi trovi un primo periodo di 10 battute tutte di getto, cioè senza simmetria di frasi, nè ripetizioni, o imitazioni; il che conviene alla declamazione, e alla passione, che non s’accomoda troppo a certi andamenti regolari ed evidentemanle studiati. Segue a questo periodo di tempo allegro, una frasetta adagio, simmetrica, regolare, di canto soave, alla quale tosto vien dietro un altro periodo allegro di 10 battute, di canto energico, con cui si compie l’aria. In luogo poi di ripetere, come si suole, tutta l’aria, il Verdi, obbedendo alla verità drammatica, non riprese che il predetto adagio, cui aggiunse tre battute per compiere il periodo. Dopo di che finisce il pezzo con cinque battue di una specie di recitativo