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72 la lotta a oslavia


quale tutto assumeva fisionomie desolate o feroci. Di sereno, di caldo, di luminoso, non v’era che l’anima dei soldati nostri.

Una sterminata processione di uomini sfilava lentamente nell’ombra. Erano le truppe di attacco che si avviavano alle trincee. Sparivano fra le rovine di un villaggio bruciato e diroccato, neri ruderi che avevano forme strane e inattese nel lieve pallore crepuscolare e nella nebbia, e ricomparivano più oltre, sulla strada in discesa, fra profili incerti e fumosi di grandi alberi scheletriti dai quali cadevano, come una ruggine leggera, le ultime foglie ingiallite.

Si udiva lo scalpiccio quieto e vasto dei passi nel fango, e di tanto in tanto un mormorio di conversazioni passava. Degli ordini erano sussurrati: «Silenzio!... In colonna!... Avete tutti i vostri sacchi a terra?». «Signor sì!» — rispondevano delle voci sommesse. Improvvisamente qualcuno ha cominciato a fischiettare una canzonetta. Un ufficiale ha scattato: «Perdio, chi è che fischia? Silenzio, chè ci sentono!». Il fischio è cessato.

Intorno, una quiete profonda. Le posizioni erano invisibili e taciturne. Vi era una calma pesante, lugubre, inverosimile, piena di attesa, piena di angoscia, piena di minaccia, un’atmosfera da agguato. Si intravvedevano oltre la strada, fra indefinite, oscure e nuvolose masse di cespugli, dei cassoni di artiglieria, i cui ca-