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lidi, sicuri, insolenti, furono come degli sparvieri arrivati in mezzo agli eleganti giri di stormi di allodole. Erano inattaccabili. Filavano dritti verso le loro mète come sopra invisibili guide. Tutti i giorni, alla stessa ora, qualche Taube, qualche Aviatik aleggiava su Parigi, impassibile, rigido, inavvicinabile, mitragliando e bombardando.


L’aviazione francese non poteva trasformare di colpo il suo materiale, e urgeva difendersi. Pensò di sfruttare la leggerezza e la duttilità stessa dei suoi aeroplani, di volgere a profitto le loro caratteristiche, quelle che parevano inutili virtù di agilità e di eleganza. E inventò la caccia.

I francesi scelsero uno dei loro monoplani più piccoli e più veloci, il Morane, facile all’ascesa, e lo armarono di una mitragliatrice. Fissata sulla fusoliera, fra le due ali, sopra la testa del pilota, l’arma faceva fuoco attraverso il disco rotante dell’elica. Dove le pallottole potevano toccarla, l’elica aveva un rafforzamento di acciaio per deviarle. Il pilota non puntava la mitragliatrice, che era immobile: puntava l’aeroplano. La sua tattica consisteva nel salire più in alto del nemico e mitragliarlo poi scendendo con un volo librato.

I piccoli monoplani si slanciarono. La caccia cominciò. I tedeschi sorpresi furono sopraffatti. I primi Tauben precipitarono al suo-