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la crisi dell'offensiva 41


lontane cortine di interdizione, batte i rovesci delle posizioni, cerca le riserve, chiude le strade, ferma i rinforzi, disordina i servizi, si rende terribile per la sua stessa cecità che mette il pericolo per tutto, dissangua, paralizza, scoraggia. Ma l’assalto così diventa una questione di minuti, una questione di calcolo, deve avere una durata fatalmente ristretta, bisogna che nulla lo fermi, nulla lo rallenti, tutto deve esservi previsto, l’istante della impossibilità sta per scoccare.

Che il varco aperto con eroici sacrifici nei reticolati si presenti insufficiente; che la pioggia impedisca alle granate incendiarie di bruciare le armature dei «cavalli di Frisia»; che il fango, come quell’orrendo fango rosso del Carso, viscido al pari d’una poltiglia sanguigna, e il fango saponoso del Podgora sul quale il piede non fa presa, e il fango argilloso di Oslavia che atterra la scarpa come con una mano, che il fango dicevamo faccia scivolare il passo e rallenti lo slancio; e l’assalto manca. La linea d’attacco allora deve fermarsi, sdraiarsi, ripararsi, aspettare spesso fino alla notte, difendersi con i fucili coperti di melma, dei quali l’otturatore non si chiude che a colpi di pietra sulla leva.


Lo spazio da percorrere sarebbe breve se l’assalto potesse partire dalle ultime trincee.

Le trincee avversarie sono vicine fra loro; nel-