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334 lettere dal mare


sferrato il colpo, e, avventandosi alla sua volta, ha liberato un siluro.

Le due piccole torpediniere, la prua sollevata dalla velocità, pareva che volassero rombando, sull’acqua. Il siluro, come una invisibile e terribile avanguardia, aveva lasciato avanti a loro la sua sottile scia bianca.

Sono trascorsi diciotto o venti secondi.

Una cupa esplosione ha rimbombato nella rada.

Il proietto aveva colpito la nave nemica vicino al timone. Non si è vista la colonna d’acqua lanciata dallo scoppio. La svasatura della poppa l’aveva contenuta. Vi è stato un rigonfiarsi d’onda, una convulsione breve sotto allo scafo, un sovvolgimento fluido e oscuro.

Poi un gran silenzio, un attimo di sospensione, di attesa greve, di angoscia ascoltante. È sembrato che la notte subitamente si appesantisse di ansia e di costernazione.

Il trasporto di guerra era ferito ma non si sentiva ancora ferito. Non capiva. Era sempre illuminato. Appariva intatto e muto. Il boato profondo e inesplicabile doveva avere inchiodato tutte le attenzioni. Sulla terra e sul mare si ascoltava palpitando. Le luci bianche e rosse continuavano il loro dialogo dalla Pietra Bianca al Capo Durazzo. Il Konak pallido guardava ancora al di sopra dei suoi alberi.

La prima torpediniera ha voluto trattenere il suo colpo, per essere più sicura, e proseguiva