Pagina:Barzini - Sui monti, nel cielo e nel mare. La guerra d'Italia (gennaio-giugno 1916), 1917.djvu/334

324 lettere dal mare


sognava provar loro che, nel Basso Adriatico come nell’Alto, a Durazzo come a Trieste, la notte non è più una protezione sufficiente, e che l’attacco italiano sa varcare tutte le soglie, sa colpire al di là di ogni barriera, nel centro dei porti.

Le due minuscole e fragili torpediniere, due ombre sul mare addormentato, pieno di guizzanti riflessi di stelle, andavano lentamente, con i compartimenti dei motori tutti chiusi perchè il loro rombo non si spandesse nella calma. Gli equipaggi facevano gruppo ai posti di combattimento. Alle ruote dei timoni si erano messi i comandanti stessi. Eretti e rigidi fissavano le sagome della terra con sguardo calcolatore. Conoscevano la baia di Durazzo ed i suoi sbarramenti come due piloti che non l’avessero mai lasciata, e si sentivano più sicuri avendo direttamente nel pugno la condotta delle loro navi.

Per qualche tempo hanno messo la prora sul Capo Durazzo, che si avvicinava lentamente, ingigantendo ed incidendo a poco a poco il suo profilo nero nella diafanità del cielo costellato.

Il Capo, montuoso e dirupato, chiude la baia a settentrione, vi si incurva, ne protegge un lembo dai venti di tramontana, ed è nella insenatura che esso forma che le navi si ancorano, di fronte alla misera cittadina di Durazzo. Dalla spiaggia avanza il lungo pontile, che scavalca