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290 lettere dal mare


Si ha l’impressione di una immobilità assoluta, pesante, innaturale.

Ad ogni secondo il battello scende di un metro; va giù, va giù, si inabissa, e pure non sì ha la percezione del suo spostamento, della sua libertà, della sua vita. Scende dove nessun movimento di onde si propaga, dove nessuna tempesta mai arriva, dove nulla turba il sonno perpetuo delle acque profonde, e sembra spaventosamente fermo, prigioniero della eterna quiete.

Quello che avviene esula dalla sensibilità umana. Se non fosse circondato da strumenti che indicano che avvertono, che spiegano, l’uomo sarebbe sperduto e perduto.

Sono loro ora i suoi nervi nella corsa tenebrosa. Su innumerevoli quadranti graduati delle lancette scattano, girano, segnando pressioni, densità, inclinazioni, forze, profondità, e fremono sulle cifre con una prontezza fedele e intelligente. Esse sole si muovono, esse sole sentono, vibrano, vivono, capiscono.

Un dialogo grave e muto passa fra loro e l’uomo chiuso è inconsapevole. Sono degli aghi irrequieti e rivelatori che guidano ogni gesto di manovra.

I marinai fermi, attenti, le mani pronte all’azione, seguono uno spostarsi di lancette con la stessa intensità con la quale scrutavano poco prima la sconfinata distesa del mare.

Il mondo ora finisce lì, è tutto lì. Nessun