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276 lettere dal mare


Una profondità diafana si apre: una specie di rada. Qualche luce punteggia confusamente l’orizzonte ad una lontananza imprecisabile. Laggiù è il porto che la squadriglia è venuta a sbarrare. Laggiù sono le navi che bisogna rinchiudere. È l’istante di gettare le mine.

Il cacciatorpediniere di testa fa un altro segnale di luce: Pronti! Il secondo ufficiale scende in fretta dal ponte di comando per dirigere la manovra. I prolungamenti a cerniera delle rotaie, alle quali stanno fissate le torpedini sono abbassati e sporgono sull’acqua. Non v’è più che da tirare successivamente delle piccole leve per liberare ad una ad una le formidabili macchine. Si sta per compiere una delle più singolari e pericolose operazioni di guerra. Navigando in linea di fila, ogni unità della squadriglia deve lasciar cadere a distanze eguali le sue mine in modo da finire dove la nave che procede ha cominciato. Una distanza mal calcolata, un errore di manovra, un ritardo nell’inizio, e fatalmente il battello andrà sulle mine già disposte avanti a lui. Si rasenta la catastrofe. Nella pupilla del comandante si decide della vita e della morte.

Una tromba suona un colpo sommesso che non potrebbe essere udito a cento metri: Attenzione! Tutte le facoltà si tendono. Delle squadre aspettano dietro alle prime mine. Niente si muove. Passano pochi secondi: uno stridìo