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nelle acque del nemico 273


glia sul cielo stellato, dà ordini flemmatici e brevi: «Che stiano attente le vedette alla coffa!». — «Avvertite in macchina che non facciano scintille!» — e di tanto in tanto chiede al timoniere il grado di rotta. L’uomo dice una cifra. Il raggio di una minuscola lanterna cieca si accende in fondo alla plancia e passa lentamente sopra un candore di carte: l’ufficiale di rotta, curvo sopra una tavola, la lanterna alla mano, verifica i tracciati. Il raggio si spegne. Un silenzio profondo e grave. Lassù non arrivano il rombo dei motori e il frastuono delle eliche. Sale solo il rumore delle onde come uno scroscio di torrente. L’attesa ha nella plancia una solennità di meditazione.

Ad un tratto uno dei cannonieri aggruppati intorno al pezzo di prua lascia il posto di corsa. Sale velocemente la scaletta del ponte di comando, sporge la testa all’interno dagli ultimi gradini e avverte: «Un isolotto a prora, cinque gradi a destra, distante mezzo miglio». Detto questo sparisce. Il timoniere riceve un ordine e muta la rotta. Si sente l’inclinarsi lento della nave che accosta a sinistra. L’isolotto annunziato passa lontano, invisibile. La scia traccia un grande arco sul quale le unità della squadriglia si snodano come i grani di un collare. Dalla coffa una vedetta chiama al portavoce: «Terra a sinistra, a quaranta gradi dalla prora!». Per qualche attimo balena ancora la lanterna cieca sulla carta e illumina delle dita