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nelle acque del nemico 269


La notte è calma, ma il mare è inquieto per qualche vecchia burrasca, e delle grandi ondate silenziose, pigre, lisce e profonde, che nessun vento sospinge, afferrano la prora, senza urti, salgono lungo il taglio, si affacciano oscillando al bordo e passano, gonfie, dense. Il cacciatorpediniere beccheggia. Il terribile carico che la squadriglia porta rende le navi più sensibili al mare. Le pesanti torpedini destinate allo sbarramento del porto nemico, disposte in fila lungo le murate, gravano alte sui fianchi e diminuiscono la stabilità del battello.

Il beccheggio non è così rude da scuotere le torpedini, ma esse sono tenute d’occhio. Può avvenire che delle oscillazioni troppo profonde sforzino il cavo che assicura la mina, ed essa, sciolta, minacciosa e inafferrabile, rotoli via per scoppiare ed annientare tutto al primo urto violento sulle soprastrutture. È uno dei pericoli preveduti. La vita di una nave può dipendere dalla resistenza di una corda metallica. Non sono viaggiatrici comode le torpedini.

Bisogna essere sempre pronti a disfarsene se il mare ingrossa o se il nemico attacca. Il battello che le porta non è mai completamente sicuro di loro. Neanche dopo averle gettate. Perchè tendono allora a venire addosso. Si avvicinano traditrici e subdole, portate dal gorgo, e cercano di legare l’elica col loro cavo di ancoraggio. Se vi riescono, la nave è perduta.