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squadriglia in missione 261

rini. Hanno esplorato le acque ostili fin sui campi di mine. Sono andati a cercare i sommergibili in tutti i probabili rifugi, fra le isole, in certe insenature tortuose dalle quali bisognava districarsi a marcia indietro come un’automobile in un tourniquet. Inseguendo il nemico sono arrivati una volta sotto ai cannoni dei forti.

Le squadriglie di siluranti nostre hanno fatto di tutto: scortato, vigilato, perlustrato, cannoneggiato, sempre in moto, lanciate spesso in servizii arditissimi che la tattica moderna affida di preferenza all’aeroplano. Se sui banchi di torpedini qualche unità rimane; se degli uomini sono spazzati via dalle tempeste: è la guerra. Ma gli equipaggi si sentono oscuramente i dominatori e i guardiani di questo mare che percorrono tutto senza tregua, mentre dietro alle loro incessanti crociere s’intrecciano sicuri e soli i grandi traffici della Patria in lotta.

Sentono il possesso. Anche nel combattimento l’istinto di una padronanza li anima; loro sono i cacciatori e gli altri la selvaggina una selvaggina che può azzannare ma che fugge. Le navi nemiche, il tipo «Huszar», il tipo «Tatra», il tipo «Novara».... le hanno incontrate tante volte, ma non c’è verso di raccorciare le distanze con loro, se il caso non le mette in dieci contro uno. Fanno bene del resto. Fuggire se non si è in dieci contro uno