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256 lettere dal mare

combattimento. L’armamento di bordo è come una molla tesa al punto di scatto. I puntatori sono alla mira, i serventi dietro ai pezzi scrutano il mare, e i cannoni carichi, girando con lento moto sulle imperniature lucenti, allungano di traverso ai bordi le loro gole snelle come pennoni. I primi cofani di proiettili sono già sul ponte, aperti, legati alle attrezzature per non rovesciarsi al rollio, e dal piccolo boccaporto rotondo delle munizioni spuntano a raso il suolo le teste dei portatori che aspettano e guardano anche loro il mare, attenti, tenendosi afferrati al bordo di ferro della loro buca che ha tutta una orlatura di grosse dita. I tubi lancia-siluri hanno girato sulla corona in posizione di lancio. Sul castello di prua un marinaio è disteso, bocconi, il mento proprio sul taglio, e guarda lontano con occhi fermi, chiari, impassibili come due lenti di binocolo. È uno specialista in avvistamento di periscopi.

La squadriglia fila verso le ombre del levante, verso i grigiori plumbei che annunziano la notte. Da quella parte il mare è già illividito e spento, e nella incerta luce il cavo delle onde disegna oblunghe figure nerastre e mobili, precise talvolta come uno scafo sottile che emerga e che navighi. Ma non inganna lo sguardo dei marinai. Improvvisamente però tutti hanno quel piccolo sussulto che indica il tendersi subitaneo e acuto della vigilanza. È un istante. Vicino, a sessanta metri,